Caro Monsignor Galantino,
Mi rivolgo a lei dopo aver letto l’intervista che ha rilasciato il 15 agosto al Corriere della Sera. Colpita dal coraggio e dalla determinazione con cui critica la Pubblica amministrazione, le mafie e la cultura dell’illecito. Ma anche perplessa dal fatto che, quando affronta alcuni temi eticamente sensibili, non sembra farlo con lo stesso coraggio e con la stessa determinazione. Sono perfettamente d’accordo con lei quando spiega che le riforme, troppo spesso, si bloccano per l’ostilità di singole lobby. Così come sono d’accordo con lei quando dice che, anche in Occidente, c’è la necessità di un “nuovo battesimo sociale capace di generare speranza nel paese”. Perché allora, quando comincia a parlare di famiglia, di fecondazione artificiale e di omosessualità, si lascia anche lei trasportare da quello “strano ideologico modo di comunicare” che lei stesso denuncia? Perché su questi temi sembra così difficile affrontare un dialogo costruttivo e scevro da luoghi comuni?
Ma non voglio criticare tanto per criticare. Se le scrivo, è per mostrarle punto per punto per quale motivo sono rimasta perplessa e, a tratti, sconfortata. Commentando il tragico scambio di embrioni avvenuto al Pertini, afferma che “impressiona che si sia dovuti arrivare a questo incidente per vedere i rischi che si corrono quando si riduce un uomo a una macchina e si scambia il legittimo desiderio di avere un figlio per un diritto assoluto”. Mi scusi, ma che cosa c’entra l’errore umano con i rischi che si corrono quando si riduce un uomo a una macchina? Certo, al Pertini è stato commesso un tragico errore. Ma quest’errore è stato commesso durante una normalissima procedura di fecondazione omologa. Ed è stato “solo” l’errore umano a far sì che nel corpo di una donna si ritrovasse l’embrione di un’altra coppia, senza che nessuno dei diretti interessati avesse minimante immaginato di ricorrere ad un dono di gameti. La tragedia, d’altronde, nasce proprio qui: se l’embrione fosse stato donato, nessuno si sarebbe sognato di rivendicarne la “proprietà”. Un tragico errore, quindi. Che in quanto tale, però, non dimostra assolutamente nulla. A meno di non voler argomentare che, siccome è sempre possibile trovarsi di fronte all’errore umano, allora si dovrebbe anche smettere di fare operazioni chirurgiche rischiose. E chi muore sotto i bisturi per errore di un chirurgo? È forse perché l’essere umano è stato ridotto a una macchina oppure perché, tragicamente, l’uomo talvolta sbaglia?
Ma andiamo avanti. Perché dopo quest’affermazione, quella successiva è almeno altrettanto problematica. Visto che chi difende la possibilità di praticare la fecondazione eterologa non pretende affatto difendere questa tecnica in nome di un “diritto assoluto ad avere un figlio” come dice lei. Come già nel caso della fecondazione omologa, l’argomento è quello del “legittimo desiderio di avere un figlio”. Allora le chiedo: perché questo desiderio sarebbe legittimo nel momento in cui la fecondazione artificiale è omologa e non lo sarebbe più nel momento in cui, di fronte a casi di sterilità per cui la fecondazione omologa non basta, si farebbe ricorso ad una fecondazione eterologa? Se l’argomento fosse quello della “naturalità della procreazione”, allora non varrebbe nemmeno la pena di ricorrere ad una fecondazione omologa, visto che anche l’omologa è una “fecondazione artificiale” (e quindi, per definizione, non naturale). Ma non è questo il punto, ne sono certa. Visto che è lei stesso a riconoscere – come fanno d’altronde tutti coloro che si battono affinché non si discrimini, tra coppie sterili, quelle che possono superare la sterilità ricorrendo ad un’omologa e quelle che invece hanno bisogno di ricorrere ad una eterologa – che non si può non tenere conto del fatto che “tra una donna che porta a termine una gestazione e il figlio che ha in grembo, si creano emozioni comuni, empatie non solo fisiche”. Lei stesso, quindi, abbandona l’argomento della “naturalità della procreazione” per riconoscere l’importanza dei legami che una donna stabilisce con l’embrione che porta in grembo, anche in assenza di legami genetici. Basterebbe allora leggere gli argomenti di chi difende la possibilità di dare accesso alle coppie sterili alla fecondazione eterologa per rendersi conto che è proprio questo che viene sostenuto: la maternità non coincide con il DNA, è qualcosa di molto più complesso e di molto meno riduttivo; e fatta di emozioni comuni e di empatia; di desiderio e di amore.
Ma forse il passaggio che più mi ha colpito nella sua intervista è quello successivo. Quando, dopo aver a giusto titolo ricordato i problemi legati all’individualismo contemporaneo, decide di dare un esempio dell’ideologia del “tutto è possibile”. “Oggi una famiglia composta da padre, madre e figli deve quasi chiedere scusa di esistere e viene descritta dai media come l’unico luogo dove avvengono guai e disastri. Di contro, la rappresentazione delle famiglie omosessuali offre solo felicità”. Mi scusi Monsignor Galantino, ma di quali media sta parlando? Dove ha letto che le famiglie composte di padre, madre e figli devono quasi chiedere scusa di esistere? Chi descrive queste famiglie come unici luoghi di disastri? È sicuro che affermare che anche nelle famiglie tradizionali esistono dolore e infelicità è un modo di dire che tutte le famiglie tradizioni sono luoghi di sofferenza? È sicuro che scrivere che non necessariamente si soffre quando si cresce in una famiglia omosessuale significa dire che le famiglie omosessuali offrono solo felicità? Perché se così fosse – mi scusi se la provoco – allora sarebbe lei a fare una grande confusione e a cadere in una forma di sofisma che ha poco a che vedere con la verità che lei difende.
Per difendere l’importanza delle famiglie e lottare contro le derive dell’individualismo egoistico – battaglia che condivido e cerco anch’io di portare avanti – forse sarebbe opportuno confrontarsi maggiormente con la realtà. Esistono famiglie monoparentali. Esistono famiglie omosessuali. Esistono famiglie con figli e famiglie senza figli. Ognuno cerca di convivere con le difficoltà dell’esistenza come può. Non perché tutto si equivalga o si voglia giustificare tutto. Solo perché capita che ci sia sofferenza nelle famiglie tradizionali, così come capita che invece non ce ne sia. Capita che sia sofferenza nelle famiglie omosessuali, così come capita che non ce ne sia. Capita che i figli arrivino subito e senza problemi. Ma capita anche che i figli non arrivino mai, nonostante il grande desiderio di averli. Non pensa che sia arrivato il momento anche per la Chiesa di ammetterlo?