A chi non è mai capitato, guardandosi allo specchio, di non riconoscersi e di vedere un estraneo? Chi non si è mai chiesto, almeno una volta nella propria vita: ma io, in fondo, chi sono? Un po’ come Vitangelo Moscarda in Uno, Nessuno e Centomila: “Come sopportare in me questo estraneo? Questo estraneo che ero io stesso per me? Come non vederlo? Come non conoscerlo? Come restare per sempre condannato a portarmelo con me, in me, alla vista degli altri e fuori intanto dalla mia?”
Imparare a convivere con l’alterità che ci portiamo dentro non è facile per nessuno. Perché l’alterità è sempre sinonimo di estraneità, lo unheimlich (il perturbante) freudiano, quel qualcosa che è “altro” rispetto a quello che vorremmo essere, “altro” rispetto a quello che ci si chiede di essere. Quell’Altro di cui parla Rimbaud quando scrive: “Je est un autre”. Ma se “io” sono un “altro”, allora chi sono?
Nonostante tutto, l’altro è sempre là. Sempre presente. Sempre pronto a ricordarci che non siamo esattamente quello pensavamo di essere e a ripeterci: guarda che se pensi veramente di conoscerti, ti sbagli… Altrimenti come spiegarci che spesso facciamo esattamente il contrario di quello che avremmo voluto fare? Come spiegarci che vogliamo quasi sempre “tutto” e il contrario di “tutto”?
L’altro è sempre là. In prima fila. Pronto a contraddirci o ad assecondarci a seconda dei momenti. L’altro è sempre presente. E non possiamo farci nulla. Perché, anche se non ci fa piacere ammetterlo, fa parte di noi… Anzi, è proprio quando accettiamo quest’altro che ci portiamo dentro, che poi riusciamo a fare la pace con noi stessi. Perché diventiamo più tolleranti anche nei confronti delle altre persone…
E la vita cessa allora di essere quella lotta quotidiana in cui a forza di dire “io sono” si finisce poi sempre col dimenticarsi quell’altro, quell’io che talvolta non vuole quello che io voglio…
“Io sono sempre stata come sono / anche quando non ero come sono / e non saprà nessuno come sono / perché non sono solo come sono” Patrizia Valduga
Penso che ha volte il potere sintetico della poesia sia davvero potente. Questo suo post mi ha fatto venire alla mente la quartina sopra citata. Non trova che sia molto indicata?
Amelia
Le tue parole sono profondamente vere e fermano il tempo, quel tempo che rincorriamo per capire l’altro…quando forse la prima cosa da fare è proprio quella di non perdere tempo per comprendere anche il valore di guardarci dentro, di capire l’altro che è in noi.. Tuttavia,non mi pento di aver speso molto tempo per “l’altro”, nè ho proiettato me stessa nell’altro. Ho solo amato senza timori e pregiudizi,ho lottato contro la mediocrità, forse perchè rifiutavo di essere mediocre. Non ho fatto il conto “delle perdite”, proprio perchè non ho perso tempo a calcolare se ciò fosse giusto o meno rispetto a me stessa. Oggi , nella consapevolezza della finitezza delle cose , forse mi trovo abbastanza d’accordo con l’altra che c’è in me: in fondo abbiamo camminato insieme. Loredana Bondi .
“Io sono sempre stata come sono / anche quando non ero come sono / e non saprà nessuno come sono / perché non sono solo come sono” Patrizia Valduga
Penso che a volte il potere sintetico della poesia sia davvero potente. Questo suo post mi ha fatto venire alla mente la quartina sopra citata. Non trova che sia molto indicata?
Amelia
Pour moi,cette réflexion renvoie à celle de Paul de Tarse (Rom,7 14-25) : “Vraiment ce que je fais, je ne le comprends pas ; car je ne fais pas ce que je veux, mais fais ce que je hais…”
Ca, ça m’est déjà arrivé, notamment avec ma fille aînée…
Io, noi…. siamo sempre in relazione ad un altro o Altro con la A maiscola come voglioni i lacaniani…Ma insomma, io mi sento spesso più d’una…allora mi viene in mente Pirandello, il suo romanzo psicologio “Uno nessuno e centomila”, le mille maschere che ho indossato per essere me stessa ??
non e solo per dire; non mi pento di niente anche se ho sbagliato
ogni cosa che faccio in modo naturale anche lo sbaglio a il suo senso
io so benissimo chi sono perché sono( nato veramente)
poi, rispetto l’opinione di tutti, assolutamente
nella vita più capici meno parli
Ma si può accettare completamente l'”altro” continuando a considerarlo “altro”?
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Eh, l’identità, che cosa è mai l’identita? E quando mai siamo perfettamente identici a noi stessi, così nell’aspetto esterno come, e a maggior ragione, nell’immagine interna che di noi stessi ci rappresentiamo? Basterebbe confrontare due nostri sogni, per renderci conto che siamo due protagonisti di due film diversi. Due soltanto? Avessi soltanto un alter ego con cui dialogare quasi quasi ci metterei la firma.
Quale sia poi quella “vera” tra le mie varie identità è un altro bel problema. Eppure sono immediatamente riconoscito e riconoscibile dagli “altri”. Sì, ma solo perchè vedono la maschera e non i tanti volti che nasconde…
E adesso come posso firmarmi?
Un saluto da Fulvio Sguerso Moscarda
P. S. Ma sai, Michela, che, quando mi prende una qualche malinconia, per riacquistare il buonumore mi dico e mi ripeto: “Che bellezza non essere Alessandro Baricco!” Ti lascio solo immaginare la mia gioia quando penso: “Ma sarà proprio vero che non sono Vittorio Sgarbi? Non sarà chiedere troppo agli Dei? In fondo che cosa ho fatto per meritare un simile dono? ecc…”
L’ho notato dopo i miei 40 anni. Un’altra me stessa è uscita fuori con forza che quasi non l’ho riconosciuta, ancora oggi mi stupisce di ciò che pensa e fa. Non tutto mi piace di questa nuova me, ma come scrivi tu, ho imparato ad accettarla e ho capito che incasellarsi è sbagliato, dirsi “io sono così” non è del tutto vero perchè siamo “tanti così”. Che non vuol dire avere maschere ma riconoscersi molteplici, variopinti.. Grazie per le tue riflessioni, sempre molto arricchenti.
l’altro
ma quello sono io
anche se abbiamo
la stessa ombra
una per due
se mi sposto
sempre sento
il peso
tento dissociarmi
mi fa pena rabbia
troppo ridicolo
mi viene il nervoso
fingo leggere
ed imparare di nascosto
come fosse
cosa chi maledettamente
proprio non so
lo sento quasi fosse
malattia incurabile..
cosa faccio
Michela..?
dario.
l’altro è fuori, è quello che vedono gli altri, è la nostra facciata
E dietro la facciata che cosa c’è? Il retro-facciata?
La prima volta che nell’adolescenza ebbi l’impressione di vedere un’altra persona nel mio riflesso allo specchio ne fui spaventato e cercai di recuperare immediatamente l’attenzione spostandola su qualcos’altro. Ogni tanto quella strana esperienza si ripeteva, ma da un certo punto della mia vita in poi non sono più riuscito a ripeterla. Ne ho parlato a volte con altri, ma nessuno ha mai capito bene di che esperienza parlassi. E ora questo articolo me l’ha riportata alla memoria.
Sono venuto a conoscenza di questo blog dopo aver letto Volevo essere una farfalla. Finora non avevo mai commentato. Il libro mi è piaiuto molto e mi ha anche aiutato a comprendere alcuni aspetti della personalità di persone a me vicine.
Un saluto
bisognerebbe vedere se l’essere passa dalla volontà di fare o dalla volontà di essere!
Un saluto da Lordbad
Il blog Vongole & Merluzzi
Il testo pirandelliano che citi tocca e risponde a domande che ciascuno di noi si pone, domande che sconvolgono e che forse non trovano un perchè se non nella natura umana.
chi siamo, cosa siamo, come siammo?
Chi siamo, quante sfumature abbiamo dentro di noi, quante persone coesistono in noi?
L’immagine di Magritte che abbini al post, poi, è di una tristezza sensuale e laconica da toccare le corde più profonde dell’anima.
Siamo uomini, non ci è dato conoscere il mistero di noi stessi, ma a differenza di tutti gli altri esseri, ci è dato interrogarci su di esso.
Hai ragione. Noi siamo anche l’altro. Ogni tanto penso che l’altro ha rotto i cojoni, sempre attaccato a noi. Ma poi mi consolo pensando che lui pensa lo stesso di noi, e il fastidio che gli diamo rende più tollerabile quello che lui da a noi. L’equilibrio è dato da queste piccole ripicche interne, che danno spazio al piccolo bastardo che è in noi. E nell’altro…
L’altro ? Solo… un’altro ? Beati voi… qui con me c’e’ una folla, e ancora non ho deciso chi scegliere…
Un mio me
soffre. Chi è? Chi scalcia sul fondo
di questo quieto piroscafo. Giù
nella stiva il passeggero più vivo
batte i suoi colpi.
Chi lo tiene sepolto? E che cosa vuole
questo bastardo bambino che scalcia?
Nel fondo di me, un me soffre –
la sua bandiera stropicciata
non ha nessun vento.
E’ murato. Il bambino più vivo
murato sul fondo.
Con la sua magra manina
mi stringe il cuore al mattino
un poco stringe e duole.
Che cosa prometto quest’oggi al mio
prigioniero? Con quali parole false
lo tengo zitto per un giorno intero?
M. Gualtieri “Bestia di gioia”
Mariangela Gualtieri! Una delle voci più alte e profonde della poesia italiana di oggi. In questi versi citati da Pina, sento come un’eco conradiana (“L’ospite segreto”) in cui è presente il tema del “doppio”. Chi lo tiene sepolto? Chi lo può liberare? Chi ci può liberare?
Un saluto e un grazie a Pina e a Mariangela Gualtieri da
Fulvio Sguerso
Un saluto a te Fulvio.
Ti ringrazio per il saluto, gentile Pina: fa piacere non sentirsi sempre come una voce che parla nel deserto…
Fulvio
La contraddizione è dentro di noi! Bello scritto 😉
meno male che abbiamo la possibilità di parlare con l’altro io,che vita monotona sarebbe,se non avessimo questo confronto tra i due io.Guardandosi allo specchio è normale non riconoscersi,in quel momento non vediamo la stessa persona che vorremmo vedere.
io
Michela
non so mai chi sono davvero
di certo non mi è simpatica
quella faccia che vedo
allo specchio
in ascensore mostro la schiena
cosa sia e perchè
davvero non so
inquietudine
delusione
solitudine
alla mia lontana amica
suora laica Anna
cosa potrei chiedere
non so
ella mi avvertì che la depressione
nelle donne è malattia
infida mortale
temo di avere assorbito
dal suo sguardo
qualcosa che non so
dire..
a te Michela
l’augurio di una giornata
leggera
solare come il tuo stupendo
sorriso….
dario.
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L’ha ribloggato su Paffina72's Blog.